Azienda e mercato, bisogni e felicità

Una sola strada?


Ho partecipato alla presentazione della nuova azienda ASC che l’assessore Zagnoni ha opportunamente organizzato alla sala polivalente.

L’occasione mi è stata preziosa per capire ed interpretare le opportunità e le criticità di una struttura operativa che le amministrazioni locali, dei nostri territori, hanno creato per la gestione dei servizi alla persona.

Argomento quindi molto importante e molto delicato.

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Mi pare di avere inteso che l’istituzione delle ASC discende da una direttiva regionale che ha fortemente indirizzato verso questo modello di gestione.

L’obiettivo appare chiaro: razionalizzare la spesa, omogeneizzare le tariffe ed i servizi, massimizzare le economie di scala derivanti dalla gestione associata.

Devo dire che lo sforzo in questa direzione appare importante anche a proposito delle professionalità coinvolte ed al lavoro tecnico-politico preliminare che mi pare sia stato imponente.


Ma sull’approccio culturale mi sento di intervenire per porre una questione oggettiva ed una principalmente politica.


Sul piano dei bisogni appare generalmente condiviso che siamo in presenza di un aumento generalizzato della domanda dovuto a molteplici fattori: l’aumento delle attese di vita degli anziani, i problemi dei giovani, il disagio derivante dalle nuove immigrazioni, e ancora per la crisi economica che coinvolge gran parte della popolazione locale in modo sempre più preoccupante.

In questo quadro d’insieme appare altrettanto condiviso che le risorse disponibili sono ogni anno minori(addirittura un calo del 15% nell’ultimo bilancio).

Nell’ambito degli interventi le cifre presentate hanno evidenziato come la maggior parte delle risorse vengono destinate agli anziani ed alla maternità con solo una parte residuale destinata ai giovani ed agli immigrati.



Queste considerazioni d’insieme sono alla base di una riflessione politica che mi sento di proporre anche per avere conforto rispetto ad un tema che conosco poco ma che mi pare al centro dell’interpretazione di quello stato sociale pilastro delle democrazie europee.

La presunzione è quella di avviare una discussione sul modello di comunità che le politiche realizzate nella nostra regione tendono a favorire oppure che contribuiscono a deteriorare.

Un tema delicato che investe le ragioni stesse di una struttura costituzionale che ha posto la giustizia e l’equità sociale come pilastro portante della democrazia.

Vale la pena quindi riflettere in modo serio se, anche in quest’ambito, le scelte non rimettono in discussione un modello costituzionale ogni giorno oggetto d’attacchi e di perplessità.

La prima analisi è che rispetto al dato strutturale della crescita della domanda ed al calo delle risorse la forbice tra domanda e offerta dei servizi sociali tende ad allargarsi.

Nel medio periodo questo trend non invertirà la tendenza aggravando le situazioni di sofferenza e di marginalizzazione di tanti bisogni.

La seconda considerazione appare legata alla modalità d’utilizzo della risorsa umana nella gestione dei servizi.

Abbiamo sentito che ASC ha assorbito solo in parte il personale dei comuni sia sul piano amministrativo che sul piano dell’assistenza diretta alla persona (quindi alcuni costi rimango a carico dei comuni).

Sul piano degli interventi diretti in larghissima parte ci si avvale di cooperative sociali dove gli addetti hanno contratti di lavoro precario, part-time con stipendi molto bassi e in ogni caso non in grado di offrire una prospettiva di vita per gli addetti in termini di famiglia, casa e studio.

Otre al paradosso di una struttura che vuole risolvere da un lato ma che dall’altro autoalimenta uno stato di precarietà e di disagio appare evidente come l’impostazione tende a tutelare in modo addirittura eccessivo chi è all’interno dei circuiti istituzionali e tradizionalmente tutelati e dall’altro offre una scarsissima offerta a chi ne rimane ai mergini.

Il divario di trattamento degli addetti è evidente non solo tra chi si trova all’”interno” dell’azienda ASC e chi opera all’”esterno” nelle cooperative sociali ma anche nell’ambito delle stesse aree d’intervento.

La spesa è, infatti, per oltre il 70% (mi pare di ricordare dalle parole del direttore) per anziani e maternità e solo una parte residuali per i giovani e gli immigrati.

L’organigramma proposto sulla base delle politiche regionali (ASC) tende poi sicuramente ad aumentare i costi dedicati alla struttura (che devono tenere conto anche dei costi rimasti a carico dei comuni) ed ad appesantire in modo pauroso il carico di burocrazia e quindi i tempi d’intervento sul territorio.


Mi è assolutamente chiaro che l’impostazione proposta si basa su criteri manageriali:

economia,

efficienza,

obiettivi,

programmazione,

verifica ex-ante ed ex-post

budget e bilncio finale.

Tutto ciò all’interno di una struttura pubblica.

Pubblica la struttura ma privata l’anima.

Da qui nascono grandi perplessità.

Siamo sicuri che questo modello sia quello più efficiente e quello che in termini di risultati sostanziali dia maggiori garanzie di successo?

Siamo sicuri che l’impostazione politico-culturale nella quale l’Emilia-Romagna si è distinta negli anni per l’organizzazione pubblica dei servizi sia assicurata dall’attuale politica regionale?

Rispetto all’eccellenza dimostrata dalla nostra regione abbiamo ancora la stessa tensione civile ed ideale nella quale il modello ha sviluppato le sue virtuose prerogative?

Siamo sicuri che il progetto valorizzi le professionalità di tutti gli attori in un quadro sopportabile in termini di costi/benefici nel medio periodo.

Se la crisi come appare non è ciclica ma assume un aspetto strutturale e di medio periodo e dimostra tutti i limiti di un modello che sostanzialmente appare in grande difficoltà non è il caso di ripensare all’impostazione complessiva

E ancora se il nostro modello politico-economico tende a creare sempre più bisogni e disagi; possiamo dare per scontato il modello e intervenire prevalentemente sui bisogni?

Se il modello proposto è di matrice sostanzialmente manageriale la politica che controlla le decisioni è all’altezza in termini di competenze, formazione e percorso culturale di selezionare i dirigenti?

E la selezione non avviene all’interno di ambiti culturali e sociali dove si concentrano i tutelati e privilegiati ma soprattutto i fedeli?

Possibile che il tema della critica ad un modello di sviluppo così distruttivo in termini di relazioni e di socialità non sia messo al centro della discussione ma addirittura messo al centro del modello organizzativo adottato per risolvere i problemi ed i disagi?

Possibile che la risposta si concentri sempre sull’organizzazione e sempre con la medesima impostazione culturale e non si capisca che la sofferenza derivi dalla mancanza di un piano valoriale complessivo. Possiamo continuare a sopportare in termini di costi una società che si disgrega e quindi non assume nessuna responsabilità personale e in gran parte risolve i bisogni dei singoli in modo privato (vedi il fenomeno delle badanti) ma continua ad assumere un atteggiamento acritico dell’evoluzione delle comunità.

Possibile che il modello cooperativo venga anch’esso coniugato nell’ambito di una sostanziale sovrapposizione alla cultura di impresa di mercato dimenticando le specificità che la cooperazione rappresenta in termini di democrazia, partecipazione alla vita sociale ed agli utili da parte dei soci?

In questo percorso gli Stati Uniti come spesso accade ci precedono di alcuni anni.

Fallito il modello iperliberista le macerie sociali ed economiche che l’uragano ha lasciato sul terreno hanno posto le condizioni per avviare una discussione profonda e ne è scaturita una interessante discussione per un ripensamento delle politiche delle sanitarie, alimentari, energetiche e finanziarie.

Riusciranno? Chissà ma almeno offriamo un piano critico all’analisi.

Questo forse è il tempo di smettere di raccontarci la favola che tutto va bene e siamo i più bravi.

Il tema è sostanziale per dare una prospettiva di felicità alle nostre comunità e quindi ai nostri figli.

Soffermarsi un attimo non mi sembra tempo perso.

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